Approfondimenti

Approfondimenti

Autore: Francesco Pezone - Fabio Lorusso 26 apr, 2022
Premessa In data 11 aprile 2022, il Gestore dei Servizi Energetici GSE S.p.A. ha pubblicato sul proprio sito istituzionale le ‘Regole Tecniche per l’accesso al servizio di valorizzazione e incentivazione dell’energia elettrica condivisa’ (nel prosieguo, le “Regole Tecniche”) aggiornate in considerazione delle più recenti modifiche del quadro normativo e regolatorio. La pubblicazione delle Regole Tecniche aggiornate fornisce l’occasione per un riepilogo della normativa vigente. §1. Requisiti delle Comunità di Energia Rinnovabile. L’articolo 42-bis del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162, come convertito con legge 28 febbraio 2020, n. 8, ha previsto una disciplina transitoria per l’attuazione degli articoli 21 e 22 della direttiva 2018/2001, e così consentito, a determinate condizioni, ai clienti finali di associarsi in Comunità di Energia Rinnovabile per condividere l’energia elettrica localmente prodotta da impianti di produzione da fonti rinnovabili. Il decreto-legislativo 8 novembre 2021, n. 199, attuazione della direttiva (UE) 2018/2001, all’art. 31 ha confermato che i clienti finali, ivi inclusi i clienti domestici, hanno il diritto di organizzarsi in Comunità di Energia Rinnovabile, purché l’obiettivo principale sia quello di fornire benefici ambientali, economici o sociali ai soci o membri o alle aree locali in cui opera la Comunità e non quello di realizzare profitti finanziari. La partecipazione alla Comunità deve essere aperta. La Comunità si configura, pertanto, come un soggetto di diritto autonomo che, nel rispetto dell’obiettivo legislativamente imposto, può assumere la forma di associazione, ente del terzo settore, cooperativa, cooperativa benefit, consorzio, partenariato o, comunque, organizzazione senza scopo di lucro. L’esercizio dei poteri di controllo della Comunità deve far capo esclusivamente a persone fisiche, PMI, enti territoriali e autorità locali, tra cui le amministrazioni comunali, gli enti di ricerca e formazione, gli enti religiosi, quelli del terzo settore e di protezione ambientale nonché le amministrazioni locali contenute nell’elenco delle amministrazioni pubbliche divulgato dall’Istituto Nazionale di Statistica che sono situate nel territorio degli stessi Comuni in cui sono ubicati gli impianti che risultano nella disponibilità e sotto il controllo della Comunità. La Comunità può produrre anche altre forme di energia da fonti rinnovabili, può promuovere interventi integrati di domotica, interventi di efficienza energetica, nonché offrire servizi di ricarica dei veicoli elettrici ai propri soci o membri e assumere il ruolo di società di vendita al dettaglio e può offrire servizi ancillari e di flessibilità. Gli impianti di produzione (o porzioni di impianti) facenti parte della Comunità devono essere alimentati da fonti rinnovabili, devono essere entrati in esercizio a partire dal 1° marzo 2020 e, fino all’adozione da parte del MiTE e di ARERA dei provvedimenti previsti dagli articoli 8 e 32 del decreto-legislativo 8 novembre 2021, n. 199, devono avere una potenza non superiore a 200 kW (successivamente all’adozione degli anzidetti provvedimenti attuativi sarà possibile installare impianti fino ad 1 MW). Gli impianti di produzione non devono essere necessariamente di proprietà della Comunità, possono invero essere messi a disposizione anche da uno o più membri della Comunità o da un terzo. §2. Interazione delle Comunità di Energia Rinnovabile con il Sistema Energetico. I punti di connessione dei membri della Comunità e degli impianti di produzione devono essere sottesi alla medesima cabina di trasformazione BT/MT (cabina secondaria) (successivamente all’adozione dei provvedimenti attuativi di cui agli articoli 8 e 32 del decreto-legislativo 8 novembre 2021, n. 199, il riferimento sarà la cabina primaria AT/MT). I membri della Comunità utilizzano la rete di distribuzione per condividere l’energia prodotta, anche ricorrendo a impianti di stoccaggio, nell’ambito della stessa zona di mercato. L’energia autoprodotta è utilizzata prioritariamente per l’autoconsumo istantaneo in sito ovvero per la condivisione con i membri della Comunità, mentre l’energia eccedente può essere accumulata e venduta anche tramite accordi di compravendita, direttamente o mediante aggregazione. Sull’energia prelevata dalla rete pubblica, compresa quella condivisa, si applicano gli oneri generali di sistema. Ai fini dell’interazione con il sistema energetico, la Comunità è tenuta ad individuare un soggetto responsabile del riparto dell’energia condivisa, a cui demandare altresì anche la gestione delle partite di pagamento e di incasso verso i venditori e il GSE. I soci o membri della Comunità mantengono i loro diritti di cliente finale, compreso quello di scegliere il proprio venditore, e possono recedere in ogni momento, senza pregiudizio di eventuali corrispettivi concordati in caso di recesso anticipato per la compartecipazione agli investimenti sostenuti, che devono in ogni caso risultare equi e proporzionati. Ai sensi dell’art. 32, comma 3, decreto-legislativo 8 novembre 2021, n. 199, ARERA dovrà adottare i provvedimenti necessari a garantire l’attuazione delle disposizioni disciplinanti l’interazione delle Comunità con il sistema elettrico, in particolare: (a) nei casi in cui gli impianti di produzione e i punti di prelievo siano connessi alla porzione di rete di distribuzione sottesa alla stessa cabina primaria, individuare, anche in via forfettaria, il valore delle componenti tariffarie disciplinate in via regolata, nonché di quelle connesse al costo della materia prima energia, che non risultano tecnicamente applicabili all’energia condivisa, in quanto energia istantaneamente autoconsumata sulla stessa porzione di rete; (b) prevedere che i distributori rendano pubblici i perimetri delle cabine primarie, anche in via semplificata o forfettaria; (c) individuare le modalità con le quali i clienti domestici possono richiedere alle rispettive società di vendita, in via opzionale, lo scorporo in bolletta della quota di energia condivisa; (d) adottare le disposizioni necessarie affinché i clienti finali che partecipano a una Comunità mantengano i diritti e gli obblighi derivanti dalla loro qualificazione come clienti finali ovvero come clienti domestici e non siano sottoposti, per il semplice fatto della partecipazione a una Comunità, a procedure o condizioni ingiustificate o discriminatorie; (e) adottare le disposizioni necessarie affinché per le isole minori non interconnesse non si applichi il limite della cabina primaria. §3. Contributi economici spettanti alle Comunità di Energia Rinnovabile. Nelle more dell’adozione dei provvedimenti previsti, in particolare, dall’art. 8 del decreto-legislativo 8 novembre 2021, n. 199, continuano ad applicarsi i provvedimenti adottati in attuazione del comma 8 e del comma 9 dell’articolo 42-bis del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8, e dunque la delibera 318/2020/R/eel ed il Decreto Ministeriale 16 settembre 2020. Stante la normativa vigente in via transitoria, i contributi economici sono riconosciuti per ciascun impianto di produzione la cui energia elettrica rilevi per la Comunità, per la durata di 20 anni a partire dalla data di decorrenza commerciale dell’impianto di produzione ovvero dalla prima data per cui l’energia di tale impianto rileva ai fini della determinazione dell’energia elettrica condivisa (pari al minimo, su base oraria tra l’energia elettrica effettivamente immessa in rete e l’energia elettrica prelevata dai punti di connessione che rilevano ai fini della configurazione). Per ciascun kWh di energia elettrica condivisa viene riconosciuto dal GSE: (i) un corrispettivo unitario (somma della tariffa di trasmissione per le utenze in bassa tensione, pari a 7,78 €/MWh per l’anno 2022, e del valore più elevato della componente variabile di distribuzione per le utenze altri usi in bassa tensione, pari a 0,59 €/MWh per l’anno 2022); (ii) una tariffa premio pari a 110 €/MWh. È possibile richiedere, contestualmente all’accesso al servizio di valorizzazione e incentivazione dell’energia elettrica condivisa, anche il servizio di ritiro dell’energia immessa in rete. In tal caso, il ritiro dell’energia elettrica immessa in rete da parte del GSE viene attivato per tutti gli impianti di produzione ovvero unità di produzione la cui energia elettrica rilevi per la Comunità. Ai sensi dell’art. 8 del decreto-legislativo 8 novembre 2021, n. 199, il GSE dovrà aggiornare i meccanismi di incentivazione, sulla base dei seguenti criteri direttivi: (a) possono accedere all’incentivo gli impianti a fonti rinnovabili che hanno singolarmente una potenza non superiore a 1 MW e che entrano in esercizio in data successiva al 15 dicembre 2021; (b) l’incentivo è erogato solo in riferimento alla quota di energia condivisa da impianti e utenze di consumo connesse sotto la stessa cabina primaria; (c) l’incentivo è erogato in forma di tariffa incentivante attribuita alla sola quota di energia prodotta dall’impianto e condivisa all’interno della Comunità; (d) nei casi in cui la condivisione è effettuata sfruttando la rete pubblica di distribuzione, è previsto un unico conguaglio; (e) la domanda di accesso agli incentivi è presentata alla data di entrata in esercizio e non è richiesta la preventiva iscrizione a bandi o registri; (f) l’accesso all’incentivo è garantito fino al raggiungimento dei relativi contingenti di potenza. §4. Rilevanza fiscale dei contributi spettanti alle Comunità di Energia Rinnovabile. L’Agenzia delle Entrate, con risposta n. 37/2022 alla relativa istanza di interpello, ha chiarito che la tariffa incentivante prevista in favore delle Comunità di Energia Rinnovabile è esclusa dal campo di applicazione dell’IVA, in quanto è percepita in assenza di alcuna controprestazione resa al soggetto erogatore. Come più volte specificato dall’Amministrazione finanziaria in diversi documenti di prassi, tra i quali la circolare n. 34/E del 2013, un contributo assume rilevanza ai fini IVA se erogato a fronte di un’obbligazione di dare, fare, non fare o permettere, ossia quando si è in presenza di un rapporto obbligatorio a prestazioni corrispettive e tra le parti intercorre un rapporto giuridico sinallagmatico, nel quale il contributo ricevuto dal beneficiario costituisce il compenso per il servizio effettuato o per il bene ceduto; di contro, l’esclusione dal campo di applicazione dell’IVA ricorre ogniqualvolta il soggetto che riceve il contributo non diventa obbligato a dare, fare, non fare o permettere qualcosa come controprestazione. Per maggiori informazioni è possibile contattare gli autori
Autore: Francesco Pezone - Fabio Lorusso 05 ago, 2021
In data 30 luglio 2021, la Corte Costituzionale ha depositato la sentenza n. 77/2021 e così dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Toscana 7 giugno 2020, n. 82. Nello specifico, la Corte Costituzionale ha ritenuto illegittimo imporre un divieto generale alla installazione di impianti da fonti rinnovabili in ragione della potenza, posto che ciò viola il principio, conforme alla normativa dell’Unione europea, della massima diffusione degli impianti da fonti rinnovabili, e contrasta con la legislazione statale che, al più, consente l’individuazione di aree non idonee. La Corte Costituzionale ha altresì ritenuto illegittimo subordinare il rilascio dell’autorizzazione unica ad una previa intesa con il Comune interessato al di fuori della conferenza di servizi, in quanto ciò lede il quadro procedimentale delineato dal legislatore statale ed i principi di semplificazione e razionalizzazione che ne sono a fondamento. §1.Questione di legittimità costituzionale. Con ricorso notificato il 9-13 ottobre 2020 e depositato il 13 ottobre 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri proponeva questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Toscana 7 giugno 2020, n. 82, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, relativamente all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, nonché al d.m. 10 settembre 2010, per i motivi di seguito riportati. Art. 2, comma 1, l.r. Toscana n. 82 del 2020 , che aveva aggiunto all’art. 9 della l.r. Toscana 21 marzo 2011, n. 11, un nuovo comma 1-bis, che disponeva quanto segue: “[f]atte salve le aree individuate all’articolo 5, nelle aree rurali come definite dall’articolo 64 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 65 (Norme per il governo del territorio) e identificate negli strumenti della pianificazione territoriale e negli altri atti del governo del territorio di cui alla stessa L.R. 65/2014, è ammessa la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra fino alla potenza massima, per ciascun impianto, di 8.000 chilowatt elettrici”. Ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata introdurrebbe “con riguardo alle aree rurali – fatte salve le aree urbanizzate destinate ad insediamenti produttivi, commerciali e servizi – un limite di potenza ai fini della realizzazione di impianti fotovoltaici a terra, con il conseguente divieto d’installazione per tutti gli impianti di potenza superiore a quella definitiva normativamente”, in spregio all’art. 117, terzo comma, Cost., in riferimento all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e al d.m. 10 settembre 2010. Ciò, in quanto la disposizione impugnata impedirebbe la realizzazione di impianti fotovoltaici superiori ad una determinata soglia di potenza in aree agricole, laddove, secondo la legislazione statale, la destinazione agricola di un’area non costituisce di per sé e in via generale elemento ostativo all’installazione di particolari tipologie di impianti, potendo tutt’al più escludere l’accesso agli incentivi. Art. 2, comma 2, l.r. Toscana n. 82 del 2020 , che, a sua volta, aveva aggiunto all’art. 9 della l.r. Toscana n. 11 del 2011 un nuovo comma 1-ter, che disponeva quanto segue: “[n]elle aree rurali di cui al comma 1-bis, per gli impianti fotovoltaici a terra di potenza superiore a 1.000 chilowatt elettrici l’autorizzazione unica alla costruzione ed esercizio è rilasciata previa intesa con il comune o i comuni interessati dall’impianto”. Ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata introdurrebbe un sistema autorizzatorio diverso rispetto a quello previsto dalla legislazione statale, imponendo una disciplina che impedirebbe il rilascio dell’autorizzazione unica “in difetto della preventiva intesa con il Comune”. Art. 2, comma 3, l.r. Toscana n. 82 del 2020 , che aveva aggiunto all’art. 9 della l.r. n. 11 del 2011 un nuovo comma 1-quater, secondo il quale: “Le disposizioni di cui ai commi 1-bis e 1-ter si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente comma, relativi all’autorizzazione unica di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) o al provvedimento autorizzatorio unico regionale di cui all’articolo 27-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Nome in materia ambientale)”. Ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata, in mancanza di una norma transitoria, introdurrebbe indebitamente una nuova disciplina applicabile anche ai procedimenti già avviati, a detrimento degli operatori. §2.Difesa della Regione Toscana. Si costituiva in giudizio la Regione Toscana chiedendo che il ricorso notificato e depositato dal Presidente del Consiglio dei ministri fosse dichiarato non fondato per le ragioni di seguito riportate. Art. 2, comma 1, l.r. Toscana n. 82 del 2020 . Ad avviso della resistente, il legislatore toscano non avrebbe inteso porre un limite alla possibilità di installare impianti fotovoltaici nelle aree rurali, bensì avrebbe solo introdotto un dimensionamento dei singoli impianti, escludendo che in tali aree essi possano avere una potenza massima superiore a 8.000 chilowatt elettrici. La disposizione censurata costituirebbe “una puntualizzazione, una norma di dettaglio” del principio secondo cui, pur essendo le aree agricole generalmente compatibili con l’installazione di impianti fotovoltaici, tale compatibilità non sarebbe assoluta. Art. 2, comma 2, l.r. Toscana n. 82 del 2020 . Ad avviso della resistente, l’intesa con il Comune non introdurrebbe un sistema autorizzatorio diverso rispetto a quello previsto dal legislatore statale. Tale intesa, potrebbe essere acquisita nell’ambito della conferenza dei servizi, sicché non sarebbero modificati i termini statali di conclusione del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione. Art. 2, comma 3, l.r. Toscana n. 82 del 2020 . Ad avviso della resistente, la disposizione sarebbe coerente con il principio secondo il quale la norma sopravvenuta costituisce diritto applicabile da parte dell’amministrazione, nel caso in cui non sia stato ancora adottato il provvedimento finale. §3. Decisione della Corte Costituzionale. Art. 2, comma 1, l.r. Toscana n. 82 del 2020 . Ritiene la Corte Costituzionale che, in linea con i principi fondamentali previsti dal d.lgs. n. 387 del 2003 e dal d.m. 10 settembre 2010, le Regioni e le Province autonome possano procedere alla indicazione di aree non idonee alla installazione di specifiche tipologie di impianti a valle di un iter procedimentale che presuppone “un’apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale (paragrafo 17.1)”. Attraverso l’atto di pianificazione, le Regioni e le Province autonome “conciliano le politiche di tutela dell’ambiente e del paesaggio con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie rinnovabili, tenendo conto di quanto eventualmente già previsto dal piano paesaggistico e dal necessario rispetto della quota minima di produzione di energia da fonti rinnovabili loro assegnata (burden sharing) (paragrafo 17.2)”. Alla luce di ciò, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’art. 2, comma 1, l.r. Toscana n. 82 del 2020, costituzionalmente illegittimo, in quanto tale disposizione impone un divieto generale associato alla potenza quando, invece, in base al d.m. 10 settembre 2010, spetta all’atto di pianificazione limitare l’installazione di impianti, in relazione alla tipologia o alle dimensioni, e al procedimento autorizzatorio il bilanciamento in concreto dei diversi interessi coinvolti. Art. 2, comma 2, l.r. Toscana n. 82 del 2020 . Sull’assunto che “l’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003 stabilisce che l’autorizzazione di cui al comma 3 sia rilasciata a seguito di un procedimento unico, che deve svolgersi “tramite conferenza di servizi, nell’ambito della quale – precisa il paragrafo 14.1 delle Linee guida – confluiscono tutti gli apporti amministrativi per la costruzione e l’esercizio dell’impianto, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili” e che “La concentrazione di tutti gli apporti amministrativi nella sede della conferenza dei servizi è funzionale all’attuazione del principio di massima diffusione delle energie rinnovabili, che si invera nell’ordinamento anche mediante la semplificazione e la razionalizzazione insite nel richiamato procedimento di autorizzazione unica”, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’art. 2, comma 2, l.r. Toscana n. 82 del 2020, costituzionalmente illegittimo nella misura in cui, per gli impianti di potenza superiore a 1.000 chilowatt elettrici nelle aree rurali, prevede una differenziazione del procedimento su base regionale subordinando il rilascio dell’autorizzazione unica alla “previa intesa” con il Comune interessato. Art. 2, comma 3, l.r. Toscana n. 82 del 2020 . Tale disposizione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima perché, limitandosi a regolare sul piano temporale l’applicazione dei commi 1 e 2, di riflesso ne condivide i vizi di illegittimità costituzionale. §4. La decisione della Corte Costituzionale come monito a non introdurre nuove limitazioni. La sentenza in parola fissa un orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità: la disciplina dei regimi abilitativi degli impianti da fonti rinnovabili deve conformarsi ai principi fondamentali in primis delineati dal d.lgs. n. 387 del 2003 e dalle linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010, che, approvate in sede di conferenza unificata, sono espressione della leale collaborazione tra Stato e Regioni e sono, pertanto, vincolanti. In questo senso, salvo poter procedere alla indicazione di aree non idonee all’installazione di specifiche tipologie di impianti, le Regioni non possono imporre divieti generali ed eludere la possibilità del bilanciamento in concreto degli interessi, che il legislatore statale affida al procedimento amministrativo. Neppure le Regioni - a parere di chi scrive - possono introdurre aggravi procedimentali, posto che la semplificazione e la razionalizzazione insite nella legislazione statale sono strettamente funzionali al perseguimento dell’obiettivo della massima diffusione possibile degli impianti da fonti rinnovabili.
Autore: Avv. Marco Mittone 27 apr, 2021
In data 21 aprile 2021 la Commissione europea ha presentato proposte volte a regolamentare l'intelligenza artificiale e le macchine. L’obiettivo è quello di promuovere gli investimenti nel settore, garantendo al contempo la sicurezza e i diritti fondamentali dei cittadini. Le nuove regole prevedono invero un approccio basato sul livello di rischio. 1. Ambito di applicazione: fornitori e utenti Le nuove regole, ove definitivamente adottate, si applicheranno a soggetti pubblici e privati, all’interno e all’esterno dell’Unione europea, a condizione che il sistema di intelligenza artificiale sia immesso sul mercato dell’Unione europea o che il suo utilizzo abbia effetti su persone nell’Unione europea. Non si applicherà agli usi privati e non professionali. 2. Scopo: regole diverse a seconda del livello di rischio La Commissione europea ha previsto regole diverse a seconda del rischio, classificabile come segue. i. Rischio inaccettabile: sono vietati, in quanto costituiscono una minaccia per la sicurezza, i sistemi che manipolano il comportamento umano fino ad influenzare il libero arbitrio degli utenti. ii. Rischio alto: sono soggetti a specifici obblighi i sistemi in cui l’intelligenza artificiale è utilizzata: o in infrastrutture critiche, in quanto ciò potrebbe mettere a repentaglio vita e salute dei cittadini; o nell’istruzione o formazione professionale, per l’incidenza che ciò potrebbe avere sull’accesso all’istruzione ovvero sul percorso professionale delle persone; o in componenti di sicurezza dei prodotti disciplinati da legislazione settoriale; o nella gestione dei lavoratori e dell’accesso al lavoro; o in servizi pubblici o privati essenziali; o in attività che possano interferire con i diritti fondamentali delle persone; o nella gestione della migrazione, dell’asilo e del controllo delle frontiere; o nell’amministrazione della giustizia. La proposta di regolamento comprende un elenco di sistemi di intelligenza artificiale a rischio alto, soggetto a revisione in base all’evoluzione dei casi d’uso. Inoltre, la Commissione propone una metodologia riferita alla funzione svolta dal sistema, con attenzione al numero di persone potenzialmente interessate, alla dipendenza dai risultati e all’irreversibilità dei danni. Tutti i sistemi di intelligenza artificiale destinati ad essere utilizzati per l’identificazione biometrica remota delle persone saranno considerati ad alto rischio e saranno soggetti a previa valutazione di conformità. iii. Rischio limitato: applicazioni come i chatbot sono soggette a specifici obblighi di trasparenza per rendere gli utenti consapevoli del fatto che stanno interagendo con una macchina e liberi di decidere se continuare. iv. Rischio minimo: libero utilizzo di applicazioni quali filtri spam basati sull’intelligenza artificiale. 3. Obblighi per i fornitori di sistemi di intelligenza artificiale a rischio alto Prima di immettere sul mercato o far entrare in servizio un sistema di intelligenza artificiale a rischio alto, i fornitori sono tenuti a sottoporlo a una valutazione di conformità. In caso di modifica sostanziale del sistema o della sua finalità, la valutazione dovrà essere ripetuta. Per determinati sistemi di intelligenza artificiale tale valutazione dovrà essere rimessa ad un organismo indipendente. I sistemi di intelligenza artificiale che riguardano componenti di prodotti disciplinati dalla legislazione settoriale dell’Unione europea saranno sempre considerati a rischio alto se soggetti a una valutazione di conformità da parte di terzi ai sensi della medesima legislazione settoriale. Tra gli altri, la valutazione di conformità sarà atta verificare i seguenti requisiti: o adeguati sistemi di valutazione e attenuazione dei rischi; o elevata qualità dei set di dati, per ridurre al minimo i rischi discriminatori; o registrazione delle attività per garantire la tracciabilità dei risultati; o documentazione dettagliata sul sistema e sulle sue finalità; o informazioni chiare per gli utenti; o appropriate misure di sorveglianza. Gli importatori di sistemi di intelligenza artificiale dovranno verificare che il fornitore abbia già eseguito la valutazione di conformità, oltre che garantire che il sistema rechi una marcatura di conformità europea (CE) e sia accompagnato dalla documentazione e dalle istruzioni per l’uso. 4. Prossimi passi Le proposte della Commissione relative a un approccio europeo all’intelligenza artificiale e alle macchine seguiranno la procedura legislativa ordinaria. I regolamenti definitivi saranno direttamente applicabili in tutta l’Unione europea.
Autore: Avv. Francesco Pezone 20 ott, 2020
Lo scorso 30 settembre il GSE ha pubblicato i Bandi per la quarta delle sette procedure di Registri e Aste prevista dal D.M. 4 luglio 2019 (Fer 1), fissando il termine ultimo per le iscrizioni alle ore 12.00 del prossimo 30 ottobre e la data ultima di pubblicazione della graduatoria al 28 gennaio 2021. Tali bandi recepiscono le modifiche normative apportate dal D.L. n. 76 recante “Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale” (c.d. “ DL Semplificazioni ”), come convertito, con modificazioni, con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale della legge 11 settembre 2020, n. 120. L’art. 56 del D.L. 76/2020 , infatti, come coordinato con la legge di conversione, ha apportato alcune variazioni normative sulla disciplina di accesso agli incentivi del GSE. Tali modifiche risultano ben esplicitate ed evidenziate nei due Regolamenti Operativi (per l’iscrizione ai Registri e alle Aste, e per l’Accesso agli incentivi) pubblicati sul sito del Gestore dei Servizi Energetici. 1. Moduli collocati a terra su terreni agricoli Una prima innovazione consta nel venir meno dell'esclusione dall'accesso agli incentivi per impianti fotovoltaici i cui moduli siano installati su aree agricole, nel caso di siti di interesse nazionale o su discariche e lotti di discarica chiusi e ripristinati, cave o lotti di cave non suscettibili di ulteriore sfruttamento. In particolare, per quanto concerne la normativa regolante gli impianti costruiti sulle aree degradate contraddistinte dalla presenza di cave e discariche, si è così finalmente superato un ostacolo che, in larga parte, aveva determinato la scarsa partecipazione di impianti fotovoltaici alle precedenti procedure di asta e registri. L’art. 2.1 del D.M. 4 luglio 2019 definisce come modulo collocato a terra un impianto i cui moduli non siano fisicamente “installati su edifici, serre, barriere acustiche o fabbricati rurali, né su pergole, tettoie e pensiline”, così – in via puramente teorica – da consentire la partecipazione anche ad impianti costruiti su cave e discariche. La complicazione, tuttavia, la si rinviene (rectius, la si rinveniva) alla luce dell’art. 3.5.b.2 dello stesso decreto, il quale impone quale requisito per l’accesso agli incentivi anche il rispetto dell’art. 65 del D.L. 1/2012 (“Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”); questo stabilisce che non è consentito l’accesso agli incentivi statali agli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole, quali erano appunto formalmente qualificate le cave e le discariche. La normativa entrata in vigore ha invece disposto il venir meno di tale esclusione tramite l’aggiunta dei commi 1-bis e 1-ter al sopracitato art. 65 del D.L 1/2012. I due nuovi commi, infatti, stabiliscono che tale limitazione non è da considerarsi applicabile agli impianti solari fotovoltaici da realizzare: • su Siti di interesse Nazionale (SIN), di cui all’art. 252 del D.Lgs. 152/2006; • su discariche e lotti di discarica chiusi e ripristinati, cave o lotti di cave non suscettibili di ulteriore sfruttamento, per le quali l'autorità competente al rilascio dell'autorizzazione abbia attestato l'avvenuto completamento delle attività di recupero e ripristino ambientale previste nel titolo autorizzativo nel rispetto delle norme regionali vigenti. In entrambi i casi appena citati, tuttavia, persiste l’indispensabilità dell’autorizzazioni ai sensi dell’art. 4, c. 2 del d. lgs. 3 marzo 2011, n. 28, così come – per l’accesso agli incentivi – la non necessarietà di ulteriori attestazioni e dichiarazioni. 2. Eliminazione dei vincoli previsti dallo “Spalma incentivi” La normativa sopravvenuta prevede inoltre l’innovativa possibilità di accesso agli incentivi per gli impianti (i.e. interventi su impianti) ricadenti nell’ambito di applicazione del DM 6 novembre 2014, c.d. “Spalma incentivi”, tramite la cancellazione dei rispettivi vincoli precedentemente previsti dal D.L 145/2013, coordinato con la Legge 9/2014. Questa stabiliva, per gli impianti che beneficiassero di incentivi sotto la forma di certificati verdi, tariffe omnicomprensive ovvero tariffe premio, i cui Soggetti Responsabili non avessero optato per la rimodulazione dell'incentivo spettante, di cui alla lettera b) del medesimo DL (come definita dal DM 6 novembre 2014, c.d. “Spalma incentivi”), che per un periodo di 10 anni decorrenti dal termine del periodo di diritto al regime incentivante, interventi di qualunque tipo, realizzati sullo stesso sito, non avessero diritto di accesso a ulteriori incentivi a carico dei prezzi o delle tariffe dell'energia elettrica, inclusi ritiro dedicato e scambio sul posto. Lo stesso “Spalma incentivi” prevedeva inoltre che, nel caso il Responsabile avesse scelto di aderire alla suddetta rimodulazione, gli interventi di qualunque tipo, realizzati sullo stesso sito dell'impianto, fino al termine del periodo di incentivazione prolungato a seguito della rimodulazione, non potessero accedere a ulteriori strumenti incentivanti, salvo che per limitate finalità eccezionali. Con l’eliminazione di questi vincoli, invece, a partire dal bando attualmente in corso, gli interventi ai quali era in precedenza impedito l’accesso agli incentivi dal DL 145/2013 (ovverosia, su impianti ricadenti nell’ambito di applicazione dello “Spalma incentivi”, il cui titolare non aveva aderito alla rimodulazione della tariffa) e/o dal DM 6 novembre 2014 (ovverosia, interventi su impianti ricadenti nell’ambito di applicazione dello “Spalma incentivi”, il cui titolare aveva aderito alla rimodulazione delle tariffa) possono ora iscriversi ai Registri o alle Aste del D.M. 2019 . 3. Estensione del Gruppo A-2 Una ulteriore modifica prevede invece un’estensione del Gruppo A-2, con annesse nuove opportunità di accesso allo specifico Registro – e quindi, eventualmente, anche al c.d. “premio amianto” –, ad alcuni impianti fotovoltaici installati su edifici e/o fabbricati rurali cui questa possibilità risultava prima preclusa. Precedentemente, infatti, il D.M, 4 luglio 2019, con riguardo a questa specifica categoria, consentiva l’accesso agli incentivi, mediante la partecipazione a procedure di gara concorsuale, o il riconoscimento del “premio amianto”, ai soli impianti fotovoltaici di nuova costruzione, i cui moduli fossero stati installati in sostituzione di coperture di edifici e fabbricati rurali su cui fosse stata precedentemente operata la completa rimozione dell'eternit o dell'amianto. Integrando tale gruppo, il D.L. Semplificazioni estende ora la possibilità di accedere allo specifico Registro – e quindi, eventualmente, anche al “premio amianto” – agli impianti fotovoltaici installati su edifici e/o fabbricati rurali : • dalle cui coperture sia stata operata la completa rimozione dell’eternit o dell’amianto, anche qualora la cui superficie risulti superiore a quella dell'amianto rimosso (fermo restando che in tale caso saranno decurtati proporzionalmente in modo forfettario i benefìci aggiuntivi per la sostituzione dell’amianto) e/o • che siano catastalmente confinanti con edifici e/o fabbricati rurali nella disponibilità dello stesso soggetto dalle cui coperture sia stata operata la completa rimozione dell’eternit o dell’amianto. In aggiunta alle summenzionate innovazioni volte ad estendere il campo di applicazione del D.M, 4 luglio 2019 e la sua effettiva operatività pratica, il D.L. Semplificazioni ha apportato ulteriori modifiche atte ad intervenire direttamente sulla gestione degli adempimenti da porre in essere al fine di soddisfare i requisiti di accesso. In tal senso, degna di menzione è la sopravvenuta possibilità, per l’iscrizione ai Registri o alle Aste di impianti iscritti ai Registri, dei Gruppi A, A-2 e B e di potenza superiore a 100 kW, di versare – in alternativa alla fideiussione - un deposito cauzionale infruttifero con le modalità e le tempistiche indicate nel Regolamento Operativo e alle seguenti coordinate bancarie: IBAN IT43N0200805351000500092151; Banca Unicredit S.p.a.; BIC UNCRITMMMCS). Da quanto sopra, si evince quindi come le modifiche del D.L. Semplificazioni, così come convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, mirino in maniera molto esplicita ad evitare che – anche all’esito di questo bando, così come accaduto nei tre precedenti – i contingenti messi a disposizione non vengano sfruttati a causa di una bassa partecipazione da ricondursi alla farraginosità dei procedimenti autorizzativi e ad irragionevoli restrizioni con riguardo alle possibili soggettività partecipanti. A tal fine, la normativa sopravvenuta mira ad estendere la pletora di soggetti potenzialmente suscettibili di accedere agli incentivi previsti dal D.M. 4 luglio 2019. Sarà quindi interessante appurare, alla scadenza del termine per le iscrizioni fissato al prossimo 30 ottobre, se – ed eventualmente in quale misura – l’obiettivo potrà dirsi già perseguito con successo dal legislatore, alla luce di una maggiore partecipazione, o se per rilevare un impatto effettivo dovrà attendersi un termine sul lungo periodo. Per maggiori informazioni è possibile contattare l’autore.
Autore: Avv. Marco Mittone 24 lug, 2020
The European Court of Justice invalidates the Privacy Shield On 16 July 2020 with a landmark judgement, the European Court of Justice ruled out the Privacy Shield, invalidating the historical Decision 2016/1250 of the European Commission which had established the adequacy of the protection provided by the EU-US data transfer agreement signed in 2016. As a result of the judgement, the EU-U.S. Privacy Shield Framework is no longer a valid mechanism to comply with the Regulation (EU) 2016/679 (so called “GDPR”) in the transfer of personal data from the European Union to the United States. The Legal and Factual Framework The decision comes as a conclusion (?) of the case Facebook v Schrems. Everything started in 2013, when Maximillian Schrems, an Austrian data protection activist, lodged a complaint with the Irish supervisory authority seeking to prohibit the transfer of his personal Facebook data in the United States’ servers of the parent company (Facebook Inc.), claiming that United States’ legislation could not afford sufficient protection against access by public authorities. Nonetheless, the complaint was firstly rejected in the Decision 2000/520 of the Commission (the so called “Safe Harbour Decision”), stating that the level of protection granted by US laws was adequate. However, in the Case C-362/14 “Schrems I judgment” the ECJ issued on 6 October 2015, the European Court of Justice invalidated the Decision as a preliminary ruling. As a consequence, in light of the judgement of the ECJ, Mr. Schrems reformulated his complaint on the basis of the aforementioned claim, namely the inadequacy of US legislation to grant sufficient protection to the European citizens’ data. At that time, the transfers of the personal data from the EU to the United States was carried out though the Standard Contractual Clauses (SCC) adopted by the Commission in the Decision 2010/87, whose validity was firstly contested before the Irish Supervisory Authority. During the proceedings, the European Parliament approved the GDPR, while the U.S. Department of Commerce and the European Commission established the Privacy Shield Program, an agreement whose purpose was to safeguard the privacy of European citizen in case of data transfer for commercial purposes. In the Decision 2016/1250 of 12 July 2016 (the so called “Privacy Shield Decision”) the Commission deemed the new mechanism compliant with the requirements laid down in the new Regulation for transferring data overseas, ensuring “an adequate level of protection”, essentially equivalent to that guaranteed in the European Union by the GDPR. However, both the Decisions of the Commission were finally brought before the ECJ, where their validity was contested. The Judgement of the European Court of Justice In the Case C-311/18, the Grande Chambre confirmed the validity of the Decision 2010/87 but, at the same time, declared that Decision 2016/1250 invalid. The main point of the judgement has to be found in the preliminary ruling of the ECJ, stating that “the possibility that the personal data transferred between two economic operators for commercial purposes might undergo, at the time of the transfer or thereafter, processing for the purposes of public security, defence and State security by the authorities of that third country cannot remove that transfer from the scope of the GDPR”. Thus, as the GDPR provides appropriate safeguards and effective legal remedies, the crucial point was to establish whether the standard contractual clauses and the Privacy Shield afforded a level of protection (that the ECJ declared to be) “essentially equivalent” to that guaranteed by the Regulation, read in light of the Charter. With regard to the standard contractual clauses of the Decision 2010/87 the answer was, in principle, affirmative. Indeed, even though SCC provided for in that Decision could not bind the supervisory authorities of those third countries to which data are transferred, as they are limited to a “contractual obligation”, they still could ensure compliance with the level of protection required by EU law. In fact, on a case-by-case basis, the data exporter and the recipient are (and will be) bound to verify whether the third country in which the data have to be transferred could assure such adequate level of data protection, basing the examination both on the on the contractual obligations in the SCC as well as on the third country’s legal system, suspending or prohibiting the transfer in the event of the breach of such clauses or it being impossible to honour them. On the contrary, examining the validity of Decision 2016/1250, the ECJ came to a different conclusion. Indeed, as the Privacy Shield provided that the fundamental rights of the relevant data subject could be limited inter alia to the extent necessary to meet national security, public interest, or law enforcement requirements (so that, for example, Facebook Inc. is bound to provide Facebook users’ data to the NSA or the FBI), the ECJ found that “the limitations on the protection of personal data arising from the domestic law of the United States on the access and use by US public authorities of such data transferred from the European Union to the United States […] are not circumscribed in a way that satisfies requirements that are essentially equivalent to those required, under EU law”. In fact, certain surveillance programmes – as the one laid down in Section 702 of the US Foreign Intelligence Surveillance Act (FISA) – do not indicate any limitations on the power they confer to implement those programmes (thus being in contrast with the principle of proportionality) or the existence of guarantees for potentially targeted non-US persons, since they did not grant data subjects actionable rights before the courts against the US authorities. Therefore, in conclusion, “the Privacy Shield Decision cannot ensure a level of protection essentially equivalent”. Finally, with regard to the judicial protection requirement, the ECJ highlighted that the Ombudsperson mechanism could not provide adequate guarantees of independence. What are the consequences? The Schrems II judgement could raise some very serious concern for the international companies constantly transferring data overseas, especially for those not having server in Europe. The Privacy Shield is now invalid, and every data transfer based on this mechanism is illegal, thus the 5,300+ companies using this framework will need to urgently identify an alternative data transfer mechanism. At the same time, in light of the ECJ’s decision, also the transfer made on the basis of SCC will have to be reassessed in order to determine, on a case-by-case basis, whether they can assure a level of protection of fundamental rights and freedoms that is essentially equivalent to that guaranteed within the European. However, as stated above, such assessment must take into consideration not only the contractual clause itself agreed between the data exporter and the recipient, but also “the relevant aspects of the legal system of that third country” and the possibility of access by the public authorities of that third country to the personal data transferred. These last two requirements will clearly make the US at least a “questionable” destination, putting at risk also the validity of a large number of SCC concluded with American companies. Per maggiori informazioni contattare Avv. Marco Mittone – mm@pmlaw.it
Autore: Avv. Marco Mittone e Avv. Stefania Ornelli 05 mag, 2020
A far data dal 23 aprile u.s. è entrato in vigore il DM 27.02.2020, n. 2183 (GU, Serie Generale n. 93 dell’ 8.04.2020), attuativo dell'art. 48, comma 9, del Testo Unico del Vino. Come riportato dal Mipaaf, trattasi di un tassello importante nel panorama del sistema di certificazione dei vini territoriali. Tale decreto, che disciplina la gestione e la distribuzione dei contrassegni di Stato per i vini DOCG e DOC nonché i sistemi di tracciabilità per i vini DOC e IGP, si affianca ai precedenti decreti in materia di procedure di controllo dei vini DO e IG (DM 2 agosto 2018, n. 7552) e di certificazione analitica e, limitatamente ai vini DOP, organolettica (DM 12 marzo 2019, GU, Serie Generale n. 102 del 3.05.2019). Le principali novità introdotte riguardano: • una riduzione del costo dei contrassegni; • una maggiore flessibilità nelle disponibilità aziendali dei contrassegni; • un sistema alternativo telematico per il controllo e la tracciabilità di vini DOC e IGT. Per quanto concerne i contrassegni (noti anche come “fascette”), il cui utilizzo è obbligatorio per i vini DOCG e alternativo per i vini DOC, un’importante novità riguarda il sistema di distribuzione alle imprese imbottigliatrici. Se la distribuzione delle fascette rimane in capo agli Organismi di controllo o ai Consorzi (quando delegati), con la nuova disciplina – art. 6, commi 3 e 4, del decreto - l’imbottigliatore potrà ritirare un numero di fascette corrispondente al quantitativo di vino certificato effettivamente detenuto oppure un numero di fascette corrispondente al quantitativo di vino atto a divenire a D.O. effettivamente detenuto. In questo secondo caso, l’organismo di controllo dovrà verificare, nel corso di visite ispettive e anche attraverso il registro telematico di cui al DM n. 293 del 20 marzo 2015, la corrispondenza tra il quantitativo di fascette prese in carico ed i quantitativi di fascette utilizzate e/o ancora in giacenza, segnalando all’Ufficio territoriale dell’ICQRF competente eventuali differenze. Inoltre, si segnala che, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del decreto, le fascette sono ritirate dai soggetti titolari del codice ICQRF, per i vini imbottigliati in Italia, e dagli imbottigliatori esteri, per i vini imbottigliati all’estero. Rimane, invece, vietato per gli imbottigliatori vendere, cedere o distribuire sul territorio nazionale le fascette a fronte di vendite, cessioni o qualsiasi altra transazione allo stato sfuso di partite di vini a D.O. (art. 8, comma 6, del decreto). Nonostante la possibilità indicata nel Testo unico del vino rispetto alla potenziale operatività delle tipografie autorizzate (art. 48, comma 6), il DM attuativo non sposta la centralità dell’Ipzs (Istituto poligrafico e Zecca dello Stato) nella stampa e nella consegna dei contrassegni di Stato dei vini DOCG e DOC. La consegna dei contrassegni, secondo quanto previsto dall’art. 6, comma 6, del DM, dovrà avvenire entro 90 giorni dall’emissione dell’ordine. Il decreto ha previsto all’art. 9 un elenco dei prezzi unitari dei contrassegni, con una riduzione rispetto ai valori attuali (si stima che le nuove tariffe andranno a ridurre i costi a carico delle imprese vitivinicole da un minimo del 12% fino ad un massimo del 20% rispetto a quelli attualmente sostenuti dagli operatori). Altra novità è relativa all’introduzione di un nuovo formato di contrassegno, di più piccole dimensioni, utile per rispondere alle necessità manifestate dalle imprese vitivinicole in relazione alla varietà dei formati delle bottiglie. Particolarmente interessante è la novità costituita dall’introduzione di un sistema di tracciabilità telematico alternativo, applicabile ai vini DOC e IGT (art. 10 del citato decreto). Per i vini DOC, esso è parimenti alternativo all’uso del contrassegno, ma ciò comunque non esime dall’indicare il lotto sulla bottiglia (obbligo che discende dalle norme in materia di etichettatura). La decisione sull’eventuale adozione di siffatto sistema compete al consorzio di tutela di ogni singola DOC o IGT oppure, in sua assenza, la Regione competente. Il sistema si basa sulla creazione di appositi codici alfanumerici, che andranno apposti sulle singole bottiglie nonché registrati dall’imbottigliatore sul proprio registro telematico. Sono tre i soggetti coinvolti dal sistema: 1. l’imbottigliatore, che: • richiede all’organismo di controllo l’emissione dei codici alfanumerici, prima di dare corso alle operazioni di imbottigliamento di un determinato lotto; • una volta ricevuti i codici, procede all’imbottigliamento apponendoli sulle bottiglie e poi annotandoli sul proprio registro telematico; 2. il “provider”, che elabora i codici e li trasmette all’organismo di controllo, secondo le specifiche tecniche che saranno indicate in un documento tecnico che il Mipaaf dovrà emanare entro un anno dalla pubblicazione del nuovo DM; 3. l’organismo di controllo, che: • riceve dall’imbottigliatore le richieste dei codici; • inoltra al provider la domanda per la creazione dei codici medesimi; • trasmette i codici all’imbottigliatore. Per maggiori informazioni contattare Avv. Marco Mittone – mm@pmlaw.it Avv. Stefania Ornelli – s.ornelli@pmlaw.it
Autore: Avv. Marco Mittone e Avv. Fabio Lorusso 05 mag, 2020
Il presente memorandum si propone di fornire chiarimenti pratici in relazione alle condizioni di applicabilità della misura di sostegno finanziario di cui all’art. 55 del decreto-legge 17.03.2020 n. 18 , che ha introdotto, per le società, la possibilità di trasformare in credito d’imposta talune attività per imposte anticipate (c.d. DTA - Deferred Tax Asset) subordinatamente alla cessione a titolo oneroso di crediti deteriorati (c.d. NPL – Non Performing Loans) entro il 31.12.2020. §1. Quali società possono beneficiare del credito d’imposta. Alle condizioni infra specificate, possono beneficiare del credito d’imposta tutti i soggetti annoverati tra i soggetti passivi all’art. 73, lett. a), del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), quindi: società per azioni; società in accomandita per azioni; società a responsabilità limitata; società cooperative; società di mutua assicurazione; società europee di cui al Regolamento (CE) n. 2157/2001 e società cooperative europee di cui al Regolamento (CE) n. 1435/2003 residenti nel territorio dello Stato. Sono escluse: (i) le banche per le quali sia stato accertato lo stato di dissesto o il rischio di dissesto; (ii) le società in stato di insolvenza ai sensi e per gli effetti di cui alla Legge Fallimentare ovvero al Codice della Crisi d’Impresa. §Quali crediti sono qualificabili come “crediti deteriorati”. Ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 44-bis del decreto-legge 30.04.2019, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 28.06.2019, n. 58, così come da ultimo sostituito dall’art. 55 del decreto legge 17.03.2020 n. 18, sono qualificabili come “crediti deteriorati” tutti quei crediti pecuniari vantati nei confronti di debitori inadempienti per i quali il mancato pagamento si sia protratto per oltre novanta giorni dalla data in cui era dovuto. I crediti possono essere sia commerciali che finanziari. §2. Cosa deve intendersi per “cessione a titolo oneroso”. In genere, costituisce “cessione a titolo oneroso” qualsiasi cessione di credito dietro corrispettivo, sempreché il trasferimento dello specifico credito non sia espressamente vietato dalla legge. Ai fini della maturazione del credito d’imposta di cui si tratta, non rilevano tuttavia le cessioni infragruppo, ovverosia le cessioni tra società legate da rapporti di controllo ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2359 c.c. . Fermo quanto precede, la legge non prevede ulteriori espresse limitazioni in relazione ai soggetti potenziali cessionari dei crediti deteriorati. §Quali attività per imposte anticipate possono essere trasformate in credito d’imposta. Nel limite del 20% del valore nominale dei crediti ceduti, possono essere trasformate in credito d’imposta le attività per imposte anticipate riferite ai seguenti componenti: (i) perdite fiscali non computate in diminuzione del reddito imponibile; (ii) importo del rendimento nozionale eccedente il reddito complessivo netto dichiarato non ancora dedotto né fruito tramite credito d’imposta alla data della cessione (c.d. eccedenze ACE). I crediti ceduti possono essere considerati per un valore nominale massimo pari a 2 miliardi di euro, determinato tenendo conto di tutte le cessioni effettuate dalle società legate tra loro da rapporti di controllo ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2359 c.c. e dalle società controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto. Le suddette attività per imposte anticipate possono essere trasformate anche se non iscritte in bilancio (es. perché non hanno superato il c.d. probability test). La trasformazione in credito d’imposta si perfeziona alla data di efficacia della cessione dei crediti. §3. Condizioni per la trasformazione in credito d’imposta. La trasformazione delle suddette attività in credito d’imposta è condizionata all’esercizio dell’opzione irrevocabile prevista per il mantenimento dell’applicazione delle disposizioni che generalmente disciplinano la trasformazione di DTA in credito d’imposta, cui può conseguire l’obbligo di pagare un canone annuale pari al 1,5% delle DTA rispetto alle quali non corrisponde un pagamento di imposte . L’opzione deve essere esercitata entro la chiusura dell’esercizio in corso alla data in cui ha effetto la cessione e produce efficacia a partire dall’esercizio successivo. Per i soggetti aderenti alla tassazione di gruppo, l’opzione è esercitata dalla consolidante. §4. Come può essere utilizzato il credito d’imposta. Il credito d’imposta non produce interessi e può essere: (i) utilizzato in compensazione senza limiti di importo; (ii) ceduto a terzi ovvero a società infragruppo, non necessariamente al valore nominale; (iii) valutato ai fini di una richiesta di rimborso. Resta fermo che, dalla data di efficacia della cessione dei crediti deteriorati, le perdite fiscali e le eccedenze ACE trasformate in credito d’imposta non sono ulteriormente computabili in diminuzione dei redditi imponibili. Il credito d’imposta indicato nella dichiarazione dei redditi non concorre alla formazione del reddito d’impresa né della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive. Per maggiori informazioni contattare Avv. Marco Mittone – mm@pmlaw.it Avv. Fabio Lorusso – f.lorusso@pmlaw.it
Autore: Avv. Francesco Pezone e Avv. Stefania Ornelli 05 apr, 2020
La crescente situazione di emergenza derivante dalla diffusione del COVID-19 ha avuto e sta avendo tutt’ora un impatto dirompente anche sul mondo dello sport: dalla Formula 1 alla MotoGP, dalla NBA alla UEFA, dal rugby al tennis, molteplici sono le manifestazioni sportive cancellate e rinviate a successiva data da destinarsi. Lo stop forzato ai principali campionati sportivi costringe tutti gli operatori del settore ad analizzare i possibili impatti su tutti i contratti commerciali in essere. Nel presente articolo si offriranno alcuni spunti di riflessione partendo dall’individuazione della normativa civilistica astrattamente applicabile, con riferimento ai sistemi tanto di civil law (con particolare attenzione a quello italiano) quanto di common law (focalizzando l’attenzione sul sistema anglosassone), passando poi all’analisi dell’applicazione dei rimedi ipotizzati ai contratti di sponsorizzazione.
Autore: Avv. Francesco Pezone 27 mar, 2020
Come noto, il DPCM 11 Marzo 2020 ha sospeso le attività di commercio al dettaglio, le attività di ristorazione, le attività inerenti i servizi alla persona, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità specificamente individuate nonché le edicole, i tabaccai, le farmacie e le parafarmacie. Successivamente, il DPCM 22 marzo 2020 ha sospeso tutte le attività produttive industriali e commerciali, ad eccezione di quelle indicate nell’Allegato 1 fermo restando, per le attività di commercio al dettaglio, quanto disposto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2020 e dall’ordinanza del Ministro della salute del 20 marzo 2020. Per le attività espressamente autorizzate dal DPCM non è necessario, dunque, compiere nessun adempimento formale per continuare la produzione. Le attività non ricomprese nell’elenco devono, invece, dare tempestiva comunicazione in Prefettura della prosecuzione della produzione nei casi previsti per legge.
Autore: Avv. Francesco Pezone 20 nov, 2019
Il 2 novembre 2019 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale ( GU Serie Generale n. 257 del 02-11-2019 ) e il giorno seguente è entrata in vigore la legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 3 settembre 2019, n. 101, recante disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali. Dopo diversi appelli da parte delle associazioni di categoria, sono state sostanzialmente ridotte le sanzioni applicabili dal GSE in caso di accertamento di violazioni su impianti da fonti rinnovabili incentivati. Di seguito un riepilogo delle principali modificazioni apportate all’articolo 42, decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, disciplinante i controlli e le sanzioni in materia di incentivi nel settore elettrico e termico.[1] 1. Regola generale: decurtazione tra il 10% e il 50%, nessuna decadenza dagli incentivi. In caso di accertamento delle violazioni previste dal DM 31 gennaio 2014[2] la decurtazione deve essere comunque compresa tra il 10% e il 50% della tariffa incentivante a far data dalla decorrenza della convenzione, con ulteriore riduzione della metà in caso di denuncia spontanea al di fuori di un procedimento di verifica e controllo. Nel rispetto del principio di proporzionalità legislativamente sancito, la sanzione deve essere parametrata all’entità delle violazioni effettivamente accertate.[3] Tale disciplina si applica a: (i) impianti realizzati e in esercizio che siano oggetto di procedimenti amministrativi in corso; (ii) su richiesta dell’interessato, impianti realizzati e in esercizio che siano stati destinatari di provvedimenti di decadenza dagli incentivi e che siano oggetto di procedimenti giurisdizionali pendenti ovvero non definiti con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore del decreto (i.e. 3 novembre 2019), compresi i ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica per i quali non sia intervenuto il parere del Consiglio di Stato. In tal caso, la richiesta dell’interessato equivale ad acquiescenza nonché a rinuncia all’azione, con conseguente tacitazione di qualsiasi pretesa. 2. Moduli non certificati o con certificazioni non conformi: decurtazione del 10% per impianti FV 1-3 kW. Nel caso in cui sia accertata l’installazione di moduli non certificati o con certificazioni non rispondenti alla normativa di riferimento su impianti fotovoltaici di potenza compresa tra 1 kW e 3 kW, la decurtazione deve essere comunque del 10% della tariffa incentivante a far data dalla decorrenza della convenzione, fermo restando l’annullamento degli eventuali premi percepiti in virtù di certificazioni risultate non conformi. Tale disciplina si applica – oltre che agli impianti che siano oggetto di procedimenti amministrativi in corso ovvero di procedimenti giurisdizionali pendenti – con effetti retroattivi anche agli impianti ai quali, in forza della normativa previgente, sia già stata applicata la decurtazione del 30%. 3. Moduli non certificati o con certificazioni non conformi: decurtazione del 10% per impianti FV > 3 kW. Nel caso in cui sia accertata l’installazione di moduli non certificati o con certificazioni non rispondenti alla normativa di riferimento su impianti fotovoltaici di potenza > 3 kW, la decurtazione deve comunque essere del 10% della tariffa incentivante a far data dalla decorrenza della convenzione, fermo restando l’annullamento degli eventuali premi percepiti in virtù di certificazioni risultate non conformi. Tale disciplina si applica – oltre che agli impianti che siano oggetto di procedimenti amministrativi in corso ovvero di procedimenti giurisdizionali pendenti – con effetti retroattivi anche agli impianti ai quali, in forza della normativa previgente e subordinatamente alla presentazione di apposita istanza,[4] sia già stata applicata la decurtazione del 20%. [1] In sede di conversione del decreto-legge 3 settembre 2019, n. 101, sono state approvate le seguenti modificazioni all’articolo 42 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28: a) al comma 3, le parole: “tra il 20 per cento e l’80 per cento” sono state sostituite dalle seguenti: “fra il 10 e il 50 per cento” e le parole: “ridotte di un terzo” sono state sostituite dalle seguenti: “ridotte della metà”; b) al comma 3-quater, le parole: “del 30 per cento della tariffa incentivante” sono state sostituite dalle seguenti: “del 10 per cento della tariffa incentivante” ed è stato aggiunto il seguente periodo: “La decurtazione del 10 per cento della tariffa incentivante si applica anche agli impianti ai quali è stata precedentemente applicata la decurtazione del 30 per cento, prevista dalle disposizioni previgenti”; c) al comma 4-bis, le parole: “del 20 per cento della tariffa incentivante” sono state sostituite dalle seguenti: “del 10 per cento della tariffa incentivante” ed è stato aggiunto il seguente periodo: “La decurtazione del 10 per cento della tariffa incentivante si applica anche agli impianti ai quali è stata precedentemente applicata la decurtazione del 20 per cento, prevista dalle disposizioni previgenti”. [2] Ministero dello Sviluppo Economico, Decreto 31 gennaio 2014 (GU Serie Generale n. 35 del 12-02-2014). [3] Si attende ancora la definizione, da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, delle violazioni che danno luogo a decurtazione dell’incentivo, così come prevista dall’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28. [4] Al fine di ottenere la decurtazione del 10% il Soggetto Responsabile deve comprovare: (i) di aver intrapreso le azioni consentite dalla legge nei confronti dei soggetti responsabili della non conformità dei moduli; (ii) la sostanziale ed effettiva rispondenza dei moduli installati ai requisiti tecnici e la loro perfetta funzionalità e sicurezza.
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